Bangula, svoltando per Thyolo
21 luglio 2007
BANGULA (16 34’37.9” S – 35 07’07.9” E) Svoltando per Thyolo
Ora ne siamo certi, esiste una sola strada per Bangula!
Ma facciamo un passo indietro.
Abbiamo appena trascorso le ultime due notti a Zomba, prima capitale del Malawi, dopo un trekking sugli Zomba Plateau.
Per colazione provo a regalarmi un piccolo piacere: il burro.
Alla semplice domanda: ‘ have you butter? ‘ scandendo bene ‘butter’, vedo negli occhi del cameriere un misto di paura e imbarazzo.
Ripeto meglio la domanda, due volte, spiegando che non volevo la margarina, ma, se c’era, il burro.
Il terrore dilaga, smorzato da un sorriso.
Nessuna risposta.
Non vado oltre ed inizio a far colazione con margarina e marmellata.
Non pretendevo certo una risposta tipo ‘sì ‘ o ‘no’, ma un ‘vado a vedere se c’è’ oppure ‘sono nuovo del settore e non ho mai visto il burro, cos’è un frutto?’.
Non aggiungo altro.
Ore 8.00, partiamo per Mbawi National Park nel profondo sud del paese.
Uno sguardo alla cartina e notiamo che ci sono due strade per Bangula, una la conosciamo perché ci ha già portato al Lengwe National Park, l’altra, più corta di 80 km è segnalata come un buon sterrato.
Siamo combattuti.
Telefoniamo a Dirk, un amico di Lilongwe, un gigante bianco della Namibia allevato solo a carne ed Afrikaans, e gli chiediamo se dobbiamo prendere la strada per Thyolo, la più corta.
La risposta è scontata: Zomba-Thyolo-Mbawi, strada in ottime condizioni.
Superiamo Blantyre e deviamo a Thyolo immersi tra le piantagioni di tè e caffè.
Colline verdi che si ripetono ad ogni curva, tagliate solo da invisibili sentieri solcati dai raccoglitori. Un vero spettacolo.
Qualche km e la strada asfaltata finisce, ma il messaggio di Dirk era chiaro: Thyolo e strada ottima.
Non ci preoccupiamo.
Una breve sosta per pranzo, qualche foto e recuperiamo le forze per ripartire.
Mancano 60 km, ormai siamo arrivati.
La strada si fa più stretta, qualche buca scavata dalle piogge ci ricorda che qui, quando l’acqua cade, taglia via tutto, strade, alberi e case.
Continuiamo seguendo la pista di terra rossa che si inerpica sulle colline.
La seconda non basta, devo scalare in prima ed andare a passo d’uomo.
Il truck fa il suo dovere, le gomme si attaccano ad ogni centimetro disponibile per continuare a salire. Le pietre, messe per riempire i solchi, sono ostacoli imbattibili anche per un mezzo di 5 tonnellate.
Guido avvinghiato al volante, un appiglio sicuro per non essere shackerato in cabina.
Nella mia testa le parole di Dirk: strada in ottime condizioni.
Ad ogni metro mi ripeto: più avanti andrà meglio, mancano pochi chilometri.
Trascorrono così due ore e venti km.
Fermiamo una macchina, anch’essa solitaria. Ci conferma che la strada per Bangula è quella giusta.
L’unica consolazione è il panorama che mi distrae dal pensiero di stare distruggendo il truck.
Siamo sui 1.000 metri e all’orizzonte c’è la piana dello Shire, il fiume che ha dato un senso alla spedizione di Livingstone mentre risaliva lo Zambesi.
E così tra una buca, uno strapiombo ed un colpo di freni, immagino quanto potesse essere affascinante agli occhi di un europeo questa regione sconfinata, senza frontiere e tracciata da confini naturali: il fiume Shire, lo Zambesi, gli altopiani infiniti.
Il rombo di un altro truck, mi riporta alla dura realtà: la strada.
L’ennesima conferma, la strada per Bangula è quella giusta, mancano 16 km ad un bivio che il gps mi segnala.
Bene, magari dopo il bivio la strada migliora.
Magari!
Iniziamo a scendere verso la piana del fiume, passiamo il bivio, ma la pista è identica.
Chiediamo a qualcuno in bicicletta, si tratta di 6 km e saremo finalmente a Bangula.
Ormai sono 5 ore che siamo in ballo, è quasi il tramonto e non ne possiamo più.
L’idea di fermarci a dormire nel bush è accantonata dalla certezza di arrivare.
Ora la pista segue il corso del fiume, qua e là qualche palude e qualche risaia.
Anche il panorama è cambiato, palme e baobab ci danno il benvenuto.
Sembra fatta.
Un vecchio ponte ferroviario, inglese o portoghese, ormai in disuso ci accompagna nell’attraversare lo Shire colorato di rosso dal bagliore del sole ormai basso.
Il tramonto è eccezionale e per un attimo tutta la stanchezza e ogni fatica è dimenticata.
Ci guardiamo ed un sorriso complice, fa svanire la paura appena scampata di un ponte tagliato.
Bangula è vicina, questo è certo.
Il sole cade all’orizzonte, i colori in un attimo si spengono e in un batter d’occhio svanisce anche l’ultima speranza di essere arrivati.
La strada si butta in una palude, dall’altra parte c’è Bangula.
Nel mezzo solo acqua e qualche canoa che traghettano la gente del villaggio al mercato di Bangula.
Siamo neri, il solo pensiero di ripercorrere questa strada ci deprime.
Siamo nel buco del ……. del Malawi.
Rigiro il truck, il silenzio regna sovrano per qualche km.
In Africa non serve chiedere informazioni sulla strada, certo questa era la direzione giusta, tutti utilizzano questa pista e non gli si può dare torto, ma a nessuno è venuto in mente di dirci che con un truck non si poteva arrivare?
Che non c’erano ponti, strade secondarie o alternative varie per arrivare?
Non è la prima volta e non sarà certo l’ultima, ma ogni volta che accade abbiamo sempre la certezza di dover contare solo su di noi.
La seconda scoperta della giornata è che Dirk ci aveva detto di passare per Thyolo, ma l’assurdo è che ci sono due Thyolo, l’altro è quello sulla strada giusta!!!
E’ buio tutto intorno a noi, solo i fari illuminano le buche che sembrano sorridere e darci il bentornato.
L’idea è di risalire intorno ai 900 m per toglierci dal caldo e soprattutto dalle zanzare.
Siamo stanchi, sudati marci, sporchi lerci e ogni pensiero è alla strada.
Illumino una scritta: ‘Bangula Lodge’.
Solo un’ora prima ci aveva fatto sorridere.
Avevamo pensato a chi avrebbe potuto mai alloggiare in un luogo simile.
Ora è la nostra unica soluzione, tocca proprio a noi.
Le quattro mura ci danno un minimo di protezione.
Siamo sul confine, i militari mozambicani ogni tanto passano la frontiera dello Shire per venirsi ad ubriacare qui.
Di dormire in stanza non se ne parla nemmeno.
In un attimo il campo è montato, le tende sono sui quattro lati del truck e Shukuru avvolge i serbatoi con i sacchetti di plastica ben rumorosi, così nella notte non possono rubarci proprio il bene più prezioso: il diesel.
Spaghettata a lume di candela e tutti a dormire, domani si combatte di nuovo contro un nemico ben preparato: la strada.