Transafrica. Oggi siamo al Museo dell’Automobile di Torino

Transafrica. Da Torino al Mozambico. La nostra Transafrica del 2004, l’inizio della nostra storia e di Africawildtruck,  raccontata sul portale del Museo dell’Automobile di Torino: ECCOCI QUI!

Un estratto dell’ intervista:

“La domanda che più frequentemente ci ha inseguito negli ultimi dieci anni è stata: perché l’Africa e, soprattutto, perché il Malawi?

Esatto, perchè il Malawi?

Ogni volta che azzardiamo una risposta i nostri sguardi si incrociano. Francesca mi chiede di raccontare, di recuperare i ricordi, di iniziare. Cerco in lei dei flashback, parto dall’ inizio, provo a soffermarmi su dettagli originali, aggiungo bizzarri episodi di notti a riparare il radiatore della Campagnola in Sudan o di quando ci hanno rifiutato il visto per entrare in Ethiopia, ma la storia non è mai la stessa, a volte si dilata, comunque si trasforma.

Come realizzarla?

Io avevo già viaggiato tanto, anche in solitaria e alcuni tratti della Transafrica non erano a me sconosciuti, però questa volta era diverso. Parenti e amici ci sostennero. Il mezzo, la mia vecchia Fiat Campagnola AR76, era parcheggiato e pronto per l’avventura e tutti i Paesi da attraversare erano all’epoca relativamente sicuri. Insomma, era fattibile. Si trattava “solo” di partire. Consapevoli di non poter improvvisare, i preparativi furono lunghi, tra l’allestimento della AR76 con i preziosi consigli dal libro di Cirani e i documenti delle Ambasciate l’inverno torinese ci impegnò su tanti fronti. Se ci penso, avremmo potuto fare a meno di molti equipaggiamenti inutili. Il gps collegato al laptop fu impossibile da gestire e si mostrarono troppe le tre ruote di scorta. Altre cose invece ci sono mancate durante la transafrica, penso ad esempio ai pochi rullini per fotografare: perché mai ci siamo portati solo 100 rullini lo devo ancora scoprire! Perché non una macchina fotografica digitale?

Inizia l’avventura.

Sul traghetto per la Tunisia, la Campagnola non si avvia per scendere dalla nave. Tutta la costa del nordafrica, la Libia con Bilal -il poliziotto turistico-, la notte sul lungomare di Alessandria, con i bimbi che di notte giocavano a salire sulla scaletta della tenda per vedere dove portasse. Il Nilo, la scorta militare che ci prega di aumentare la velocità a 80 km/h come le altre auto del convoglio. Il battello per il Sudan, il deserto, la macchina che non ne vuole sapere dei 50 gradi, le 3 mogli di Emad a Khartoum, la verdissima Ethiopia, la nebbia sugli altipiani. Francesca che controlla costantemente la cartina. Entrare in un albergo dopo un un mese di tenda ed essere accompagnati fuori perché gli zaini erano indescrivibilmente sporchi. Rompere il cambio nel nulla e farsi trainare sotto le piogge. Il Kenya, gli spazi infiniti, la natura selvaggia, le popolazioni. La Tanzania, le strade rosse e la chiatta sul fiume Ruvuma per Mozambico, nel bush, le piste di sabbia. L’arrivo su quell’isola lontana, poco conosciuta, migliaia di chilometri percorsi per una tesi di laurea in Architettura. Che viaggio!

È successo

È successo che dopo la Transafrica ci siamo trovati qui, non è stata una scelta, o forse nulla accade per caso. Tra un viaggio e l’altro, dopo una notte a contemplare le stelle sullo Zambesi o accanto al fuoco ad ascoltare le leggende dei Chewa è accaduto. È semplicemente successo. Al rientro dalla Transafrica cercavamo “qualcosa” che ci permettesse di protrarre quell’avventura. Penso che se avessimo avuto le finanze per sostenerci, saremmo ancora in viaggio.

Continua

Transafrica 2004, Campagnola, Ruaha national park